Umberto Eco, Opera aperta
Bompiani 2000
Tascabili. Saggi
Euro 7,75 Anno
Calcolo ed epifania
essun manuale, nessuna cronaca o memoria ci restituirà latmosfera della cultura italiana nel ventennio fra la fine della II Guerra Mondiale e il Boom economico. I documenti scritti possono riflettere solo pallidamente gli esperimenti e le polemiche, nati dal senso più o meno ingenuo e meravigliato di libertà e abbondanza, dalla scoperta dei nuovi portati doltralpe ed doltreoceano, dal desiderio di svecchiare ad ogni costo, di adeguarsi al passo dei tempi. Vero è, come diagnostica Giuseppe Pontiggia in una pagina dellIsola volante, che la salute si discerne in opposizione alla malattia, e che malattia mortale del linguaggio è la sua mercificazione, contro cui insorgono le avanguardie. Ma la malattia del linguaggio, conclude Pontiggia, «rafforza paradossalmente la funzione di quello letterario, lunico in grado di restituire alle parole la loro energia».
Con la pubblicazione in volume di Opera Aperta, nel 1962, (costituito in buona parte da saggi apparsi in precedenza in rivista), Eco si è assunto lingrato compito di testa dariete, nellintento di restituire dignità ai linguaggi delle arti, non solo a quello letterario, mentre intorno a lui scalpitavano le neo-avanguardie.
Fedele al suo titolo, Opera Aperta ha attraversato vicende editoriali complesse: più volte riedito e modificato, nelledizione corrente riproduce quella del 1976. Questa, rispetto alle due prime edizioni (1962 e 1967) , ha perso il corposo saggio Le poetiche di Joyce, ripubblicato autonomamente. In compenso ha accolto, come appendice, il testo Generazione di messaggi estetici in una lingua edenica, di capitale importanza per i successivi sviluppi del pensiero semiotico dellAutore.
Ma Opera Aperta è e resta un libro di rottura. Nella temperie che lha generato, tutto poteva concorrere utilmente a spezzare laccerchiamento, a uscire dal cono dombra del crocianesimo senza cadere nella critica impressionistica e nellelzeviro. Lo testimoniano le due introduzioni: la prima battagliera, in esergo alledizione 62; la seconda, più meditata e distesa, che apriva ledizione 67, entrambe lasciate a testimonianza dialogante con il testo, e precedute da una succosa antologia, di mano dello stesso Eco, che raccoglie le reazioni suscitate allepoca fra gli addetti ai lavori.
Val la pena di rileggerlo anche per queste pagine introduttive, per capire quanto era fecondo il milieu dallora, e quanto povero e asfittico sia quello attuale. Sfido chiunque, oggi, a trovare spunti e materia per un libro analogo.
Confortato dalla robusta Estetica del suo maestro Pareyson, apparsa in volume nel 1954, (e ancora fecondissima), Eco mette in campo un esercito composito ma agguerrito didee e dispirazioni.
Opera Aperta, infatti, presenta un florilegio di possibilità allindagine quale mai sera vista negli studi destetica, e non solo in Italia. Da un saggio allaltro sincrociano in maniera inedita ed efficacissima suggestioni attinte da Tommaso dAquino (e autorevolmente corroborate da Joyce), con gli ultimi portati della teoria dellinformazione applicata al discorso poetico, e se viene ignorata la linguistica saussuriana, ancora non sdoganata, si leggono in filigrana le anticipazioni semiotiche dun altro battistrada, altrettanto ecumenico anche se meno popolare, come Ferruccio Rossi-Landi. Non dimenticando il suo Aristotele, Eco mette bocca, con vis definitoria, nelle discussioni sul valore dellarte informale e della musica elettronica, ormai diffuse non solo nelle cerchie degli specialisti, ma anche fra un pubblico mediamente colto. Senza dimenticare un abbozzo di critica delle ideologie, nella discussione di certe parole dordine allora di moda, prima fra tutte quellalienazione di matrice hegelo-marxiana che, pur consunta dalluso, si è trascinata nella nostra cultura almeno fino alle soglie degli anni 80.
La nostra attenzione di lettori-letterati cadrà principalmente sulle poche paginette intitolate Discorso poetico e informazione, vero perno delle discussioni diffuse in tutto il libro: Qui Eco, trascinando le dottrine di Pareyson alle estreme conseguenze, afferma chiaramente che il segno distintivo del moderno è la possibilità (la liceità) di creare, con ogni nuova opera darte, un nuovo sistema linguistico. Con quali caratteristiche e limiti, e in che rapporto con la tradizione precedente, Eco non si distende a spiegare. Forse a causa dellansia di enucleare e additare procedimenti innovativi, sacrificando quindi un discorso più ampio e sistematico, che verrà comunque sviluppato nelle opere seriori.
E anche perché, riteniamo, le argomentazioni si rincorrono tematicamente, in questo libro miscellaneo, intenzionalmente aggressivo per ammissione dello stesso Eco. Libro però sorprendentemente unitario, perché, nellattraversare le poetiche contemporanee, raccogliendo una ricca messe di dati e assaggi, alla ricerca dei rapporti dialettici tra forma e indeterminazione, il cerchio tende a chiudersi. Legittimamente o surrettiziamente?: Se è vero che lopera è un fare e un farsi, come insegna Pareyson, da un campionario di poetiche a trecentosessanta gradi, estraendo sul campo riscontri valutativi (che poi sono sempre anche un poco prescrittivi), sarà lecito ricavare la silhouette finissimamente intagliata dunestetica coerente? In barba ad ogni interdetto, incominciando da quello, severissimo, dello stesso Pareyson, contro le indebite commistioni fra studi di poetica e destetica.
O lambizione di Eco si spinge ancora più in là, o il libro è talmente aperto che gli prende la mano: sullonda dunestetica non prevista cresce qualcosa daltro. Mi concedo unipotesi: laccoppiata forma e indeterminazione del sottotitolo rievoca in maniera insinuante il brevissimo e totalizzante saggio di Carlo Diano Forma ed evento, apparso anni prima, dedicato al rapporto fra caso e razionalità come fu inteso dai Greci e da essi tramandato alla cultura occidentale. Se così fosse, se questa doppia polarità vigesse anche nel campo delle arti, e motivatamente, visto che sembra vigere in ogni umana attività, avremmo un ulteriore volano di trasmissione verso altri territori filosofici, da quello etico a quello metafisico. A riprova dellantichità, diremmo della classicità, delle questioni agitate.
Nella ben organizzata casualità dei saggi di Opera Aperta sono ravvisabili molti filoni, non isolati ma intenzionalmente tematizzati e saldati. Paradossalmente, nel saggio Il caso e lintreccio, dedicato al montaggio duna ripresa in diretta TV, operazione improvvisata, ma obbediente a certi canoni e a certe costrizioni, appare meglio applicata la dottrina pareysoniana dellarte come fare. Largomento della ripresa televisiva è quello che forse meglio fornisce il destro per indagare laspetto fabbrile, il gesto, la performance del regista che dipinge tramite i suoi cameramen, e mentre da un canto ci fa immaginare per analogia il gesto artistico di un Pollock, dallaltro ci svela con largo anticipo le menzogne di tanta TV-verità che invade le nostre case, forse già insite nel medium. E anche il bisogno dillusione, e autoillusione, dellessere umano. Nulla di più lontano dalla chiamata ad interagire rivolta al fruitore da certe opere darte, come Eco preconizzava.
Concediamoci qui un abbozzo di discussione filosofica, perché largomento è ancora aperto, e minaccia di rimanere tale in eterno. Eco sembra riconoscere che levento ha una forma, per parafrasare il linguaggio di Diano, La forma dellevento, se mi passate questoxymoron, è evento essa stessa in quanto manifestazione, intersezione significativa, incarnazione puntiforme, anche se aleatoria, nel momento dellesecuzione-fruizione unica e individua. Con questo si erge come momento esemplare di scelta nelluniverso della casualità, sul quale fissare unattenzione, diciamo così, riassuntiva ed esauriente. Così lopera darte si costituisce come unicum nella sua più radicale dichiarazione deteronomia. Sempre parafrasando Diano, lopera darte è sempre quella certa opera darte, prodotta da qualcuno per qualcuno, categoria fenomenologica di se stessa.
Non più epifania, apparizione, ma macchina da guidare, lopera darte è un farsi aleatorio e sempre rinnovato. Resta in sospeso linterrogativo, che formuliamo col senno del poi, su chi rilasci la patente che abilita a questo tipo di guida. Eccesso dottimismo, quello di Eco, e dei tempi in cui fu scritto Opera Aperta, quando sembrava pacifica la necessità che larte dovesse sposarsi con una visione moderna del mondo a base di fisica quantistica e teoria dellinformazione. Essere assolutamente moderni, come predicava Rimbaud e teorizzava Nietzsche. Con una strizzata docchio, da un alto alla futura democrazia della fruizione, dallaltra allartista che, incalzato dal suo pubblico, sinoltra sempre più in vastità inesplorate.
Però, nelle nuove forme darte e nella loro teorizzazione, vige «non tanto linformazione rigorosa di equivalenti dei nuovi concetti, quanto la negazione di quelli antichi» si legge a chiare lettere alla pagina. 163, e con questo si comprende lalternarsi di cedimenti e le resistenze dellaristotelico-tomista che Eco è sempre stato. Riaffiora leterno problema delle avanguardie, la predominanza, in esse, della pars destruens, dellaspetto iconoclastico. Come in tutte le rivoluzioni, una volta compiute, sappiamo bene che i rivoluzionari sono dingombro, e a cose fatte valgono meglio i sobri e solerti funzionari dellancien régime.
Altro problema che Eco mette in luce, e di questo gli siamo grati: è banale dirlo, non esiste creazione artistica senza richiesta di consenso. Quanto vale il candido postulato di Pareyson, secondo il quale lopera darte è comunque riconoscibile? Lestetica del fare incontra quella della fruizione su un terreno comune, le cede perfino un certo qual primato, se dal riconoscimento dipende lo status stesso dopera darte. Anzi, il consenso richiesto devessere al quadrato, preventivo alla stessa fruizione, e al conseguente giudizio estimativo, se si porta alle estreme conseguenze il presupposto.
Forsè questo il vicolo cieco nel quale si sono insaccate le avanguardie, storiche e neo-. Al di qua si profilano le ombre del decostruzionismo, il postmoderno, fino allattuale compresenza eclettica, da Basso Impero, di tutto e del contrario di tutto, entropia non si sa quanto generativa e feconda, non si sa quanto esteticamente e poeticamente quietistica, nel calderone dellindifferenziato.
Sterile domandarsi se Opera Aperta sia stata il corifeo delle neoavanguardie e di tutte le licenze successive, o il loro prematuro esecutore testamentario. A furia di legittimare (o mostrare di farlo) con lipoteca preventiva della bontà dogni trasgressione, si è legittimato anche il rappel à lordre, la riassunzione della forma chiusa, il rinverdire il plot, loralità tribale, la figuratività, la tonalità. Pur con il tutto messo fra parentesi e con segno alterato.
Queste possibilità di degenerazione e dinvoluzione del discorso artistico dovevano comunque essersi affacciate alla mente di Eco, se la sua preoccupazione ultima, che appare carsicamente, è proprio quella di definire i limiti, se non la fisionomia, dellopera darte, oltre il dettato di Pareyson.
Sia che si appunti ad analizzare larte informale o a seguire gli sviluppi della musica elettronica linformazione e la saturazione, lindistinto lattenzione di Eco va a toccare quel nervo scoperto, puntando su un rigore definitorio affatto nuovo. Non si tratta di una definizione dottrinale e univoca, ma composita come il libro, che fa leva sullasse preferenziale del conoscere/riprodurre/comunicare dando quindi preminenza alla fruizione, ma con una serie di aspetti creativi che sembrerebbero apparentarsi a quelli percorsi dallautore dellopera darte durante le fasi della sua creazione.
Ascriveremo quindi ad Opera Aperta, in primis, il merito di aver ricondotto una serie di problemi scaturiti dallesame di arti diverse a un comune interrogativo estetico, che radiografando le modalità della formazione, rappresentazione, comunicazione e fruizione artistica, mette il luce la continuità interattiva fra questi quattro stadî con unurgenza quasi profetica, sostenuta da una lucida esposizione scolastica, in senso medioevale. E questo proprio nel momento in cui losabile, in arte, era in via di esaurimento. A distanza di quarantanni, la furia inventariale di Eco, raffreddata e cristallizzata, fornisce comunque un prezioso bilancio della discussione estetica fino agli anni 60 del secolo scorso. Costringendoci a scuotere la polvere dai volumi di Diano, Anceschi, Pareyson e Rossi-Landi, a riconsiderare possibilità smarrite ma non perse.
Milano, 05 agosto 2003
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