GUIDA ALLA POLITICA ESTERA ITALIANA. DA BADOGLIO A BERLUSCONI, DI SERGIO ROMANO. LA FARNESINA, LE RELAZIONI ESTERE IN ITALIA E IL MINISTERO DEGLI ESTERI

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Guida alla politica estera italiana. Da Badoglio a Berlusconi (2002)


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a fine della guerra in Vietnam, l’uscita di scena di Charles De Gaulle in Francia e l’atmosfera più serena favorita in Europa dagli accordi americani sul disarmo e dall’Ostpolitik di Willy Brandt paventarono all’inizio degli anni settanta lo scacchiere desiderato dal centro-sinistra: l’Italia avrebbe avuto una maggiore libertà internazionale pur prefiggendosi sempre il raggiungimento di due obiettivi, modernizzazione e sicurezza. L’appuntamento andò, però, fallito in nome di una politica estera incolore sempre sospesa tra spinte opposte, da un lato gli impegni atlantici e comunitari, dall’altro il sempre più pressante ricatto terzomondista.

Tali tentennamenti furono acutizzati ad un’instabilità legislativa che portò dal 1972 al 1979 al susseguirsi di otto governi, nessuno capace di giungere alla sua scadenza naturale. L’instabilità dei governi era anche frutto della stessa storia del nostro Paese, che proprio in quegli anni visse mutamenti a dir poco radicali: l’abbandono delle campagne, i grandi movimenti di popolazione all’interno della penisola, le esigenze dei ceti emergenti, il notevole aumento degli studenti universitari, dinamiche sociali che ne misero a nudo la fragilità politica e morale. Fu il maggior partito d’opposizione — il Partito Comunista Italiano — a trarre vantaggio da questo contesto, raggiungendo nelle elezioni del 1976 il 34,4% a fronte di un 27,1% conseguito nella precedente tornata elettorale; in Italia vi erano ormai due partiti predominanti, la Democrazia Cristiana, attestata ad un 38,7%, e appunto il Partito Comunista.

La circostanza avrebbe legittimato in qualsiasi altra nazione un’alternanza alla guida del Paese, ma in Italia ciò non avvenne sia perché un governo comunista avrebbe minato le alleanze politiche e militari precedentemente contratte sia perché la storia politica italiana tramandava un modello ben collaudato, cioè i patti di governo tra il partito dominante e l’opposizione.

Il sistema politico al quale si votò l’Italia per tutti gli anni settanta fu il trasformismo, il cui fulcro era costituito dalla Democrazia Cristiana, capace di tessere alleanze a destra o a sinistra a seconda delle contigenze per continuare a tenere ben saldo il potere. I governi capitanati da Andreotti misero in scena una variante conservatrice dell’insegnamento centrista di De Gasperi, Rumor si riavvicinò al centro-sinistra, mentre le compagini guidate da Moro e Andreotti tra il 1974 e l’inizio del 1979 realizzarono la più spregiudicata versione del trasformismo: l’alleanza con il Partito Comunista.

I Ministri degli Esteri furono cinque, tutti provenienti dalla Democrazia Cristiana: Moro dal 1969 al 1972, Medici dal 1972 al luglio del 1973, Moro dal luglio 1973 al novembre 1974, Rumor dal novembre 1974 al 1976, Forlani dal 1976 al 1979 ed infine Franco Maria Malfatti dall’agosto 1979 al gennaio 1980, quando, per motivi di salute, fu costretto a lasciare il dicastero. La Farnesina, dove il Ministero fin dalla fine degli anni cinquanta si era trasferito, divenne la perfetta collocazione per i leader costretti dal partito a porsi momentaneamente in disparte, un incarico dignitoso in attesa di tempi migliori, ma con la garanzia di una notevole visibilità nazionale e internazionale, oppure una prestigiosa anticamera per le ambiziose nuove leve del partito.

I ritardi della nostra politica estera furono accentuati da una nuova guerra tra gli arabi e gli israeliani che ebbe grande influenza per quanto concerne il mercato petrolifero, imponendo a molti Paesi un ripensamento sulle fonti energetiche. L’Italia, sulla scia della Francia, avrebbe potuto ricorrere al nucleare, ma non ebbe la forza di contrapporsi alle scelte americane e sul fronte interno le resistenze ecologiche e ambientali portarono, attraverso il referendum del novembre del 1987, a una definitiva bocciatura di tale progetto. L’alternativa divenne invece una riduzione delle importazioni a favore di un maggiore impiego del metano di cui Paesi come l’Algeria, l’Unione Sovietica, l’Olanda e la Libia erano ricchissimi, infatti, il baricentro della nostra diplomazia petrolifera si spostò proprio in quella direzione. L’Italia, sconfessando qualsiasi teoria di politica estera, dimostrò, schiacciata tra due poli opposti — lo sviluppo economico che necessitava energia e l’instabilità sociale e politica — che la ricchezza con il verificarsi di determinate circostanze poteva anche trasformarsi in un fattore di debolezza.

La dissoluzione dell’Unione Sovietica e l’unificazione della Germania causarono tra il 1989 e il 1991 la scomparsa dei presupposti che avevano retto la politica estera italiana fin dagli anni della presidenza Gronchi, delineando scenari differenti rispetto a quelli dell’Europa dei blocchi, nella quale l’Italia poteva avvalersi con alterne fortune della propria politica di conciliazione. Questi mutamenti, aggravati dalla crisi politica e costituzionale che attanagliò il nostro Paese negli anni settanta e ottanta, provocarono una forte crisi in politica estera, un contesto nel quale la fragilità e l’incapacità di un intero sistema politico divennero ancora più ingombranti, intralciando lo svilupparsi di posizioni nette, scelte di campo e impegni militari, fattori necessari per adeguarsi alla mutata situazione planetaria. Gli anni successivi segnarono la triste scomparsa del nostro Paese dalla scena internazionale, interessata solo agli scandali, ai processi e ad avvenimenti come il «fenomeno Di Pietro» o la «discesa in campo» di Silvio Berlusconi che poco contribuivano a restituirci la dignità perduta.

La vittoria di Silvio Berlusconi nel maggio del 2001 registrò la diffidenza dei partner europei, preoccupati dalla struttura della sua coalizione, composta da un partito ex fascista — Alleanza Nazionale — e un movimento regionalista — la Lega Nord — che non garantivano prospettive di grande integrazione europea. Lo stesso Presidente del Consiglio, dopo le dimissioni di Ruggiero dal dicastero degli esteri perché troppo europeista per una maggioranza invece attestata su direzioni opposte, assunse ad interim la conduzione del Ministero degli Esteri convinto, a ragione, che il suo prestigio lo avrebbe messo al riparo dalle insolenze dei suoi stessi alleati.

Integrazione europea o accettazione di essa per rifuggire il pericolo dell’isolazionismo? Silvio Berlusconi ancora non ha fornito una risposta chiara a tale domanda, scegliendo di continuare ad essere l’amico di tutti, evitando il momento delle scelte, mai come in questo momento imposte da una condizione internazionale complessa e costellata dai problemi del terrorismo, della diseguaglianza, della povertà e della globalizzazione, la cui risoluzione richiede, conditio sine qua non, l’assunzione di una posizione netta e precisa.

Sergio Romano, Guida alla politica estera italiana. Da Badoglio a Berlusconi
Rizzoli, 2002
Saggi Italiani, 302 p.
Euro 16,50

(FINE)
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A cura della Redazione Virtuale

Milano, 23 maggio 2003
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Manuela (m.n.m@libero.it), Aversa, 11/02/'04

SONO UNA STUDENTESSA DI SCIENZE POLITICHE. HO LETTO IL LIBRO E DOVREI UTILIZZARLO PER LA PREPARAZIONE DELLA TESI. L' HO TROVATO UN PO' TROPPO "STRIMINZITO" RISPETTO AD ALTRE OPERE DELLO STESSO GENERE(MANUALE DELLA POLITICA ESTERA ITALIANA di FERRARIS e VENTI ANNI DI POLITICA ESTERA ITALIANA di CACACE). MI ASPETTAVO DI PIÛ ...

Fabrizio Ciatto, (profugaton@libero.it), Conegliano, 27/04/'04

E' un ottimo libro che tratteggia in maniera impietosa ritardi e incapacità del nostro sistema politico per quanto riguarda la politica estera.Personalmente sono per un forte aumento delle spese militari per difenderci anche senza gli americani..Però resto filoatlantico e non condivido questo entusiasmo per l'integrazione europea.Dovremmo sostenere Israele di piu di adesso e pensare a trasformare la nostra economia con l'idrogeno e lasciara gli arabi al loro destino.che ne pensa?

Giovanna Sperotto, Bolzano, 3/12/2003

Come ci si doveva aspettare da una persona così razionale ed obiettiva, l'opera presenta una serie di riferimenti storici e di considerazioni assolutamente mirabili e lucide proprie di una persona che, al di là di ogni schieramento politico, cerca di vedere i fatti così come sono avvenuti e di effettuare una riflessione sincera e veritiera. Il tutto in uno stile chiaro e comprensibile. Potremmo definire Sergio Romano come un uomo del secolo dei lumi, un illuminato.




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